23.2.07

Vis, (roboris) - sostantivo, femminile = Forza (1/4)

E' fin troppo evidente che nessuna parola, in nessuna lingua, possiede un significato assoluto, vero in sé. Qualsiasi termine è il risultato di una convenzione umana, un'associazione operata arbitrariamente dall'uomo tra un concetto, astratto, ed una parola, concreta, attraverso la quale un dato concetto si vuole indicare.


Ad esempio, il concetto di "fine della vita" viene espresso nella nostra lingua con la parola morte: ma l'associazione tra il concetto generale di "fine della vita" (astratto) e la parola "morte" che lo esprime (concreta) è puramente convenzionale. In italiano, l'idea di "conclusione dell'esistenza" viene indicata con il sostantivo morte, in latino con mors, in greco antico invece con thànatos: parole diverse nella forma, ma tutte riferite al medesimo concetto.


Tali elementari principi di linguistica sono validi per qualsiasi lingua e in ogni tempo. Ma sollevano anche alcune considerazioni. Intanto: se qualsiasi parola è l'esito di una convenzione stabilita dall'uomo tra un concetto ed una parola, allora qualsiasi parola è potenzialmente soggetta a infiniti cambiamenti nel suo significato, dal momento che l'uomo, in virtù dello stesso principio, può apportarvi infinite variazioni. Se è l'uomo ad attribuire un significato ad una parola, allo stesso modo egli lo può modificare, volendo fino al punto di stravolgerlo.
Da qui una seconda considerazione, altrettanto evidente: se le parole possono cambiare, e le parole esprimono concetti, allora il cambiamento può interessare anche i concetti che esse esprimono.
In questo modo, attraverso un processo lento ma costante, spesso neanche avvertibile se non in seguito alla sua realizzazione, un concetto col tempo può mutare il suo significato originario fino al punto di vedersi del tutto stravolto.


Prendiamo il concetto stesso di morte: negativo ed infausto per molte culture, presso alcuni popoli esso viene invece rivalutato, addirittura fino ad assumere in certi casi una connotazione positiva.
E' scritto ad esempio nell'Hagakure, testo del XVIII secolo che codificava il codice etico dei samurai, prima d'allora tramandato solo oralmente:

L'essenza del Bushido
(la Via del samurai) è prepararsi alla morte mattina e sera, in ogni momento della giornata. Quando un samurai è sempre pronto a morire, padroneggia la via. (Hagakure, I, 2)


Nell'Hagakure la morte è vista in maniera positiva perché, abituandosi progressivamente all'idea di morire, il samurai allo stesso tempo impara a vivere superando la paura, vero limite dell'esistenza umana. Nella cultura samurai la morte non è né un freno né un elemento di ricatto psicologico: è parte naturale della vita, che anzi rende l'esistenza ancora più meritevole di essere vissuta con onore, senza rimandare l'azione a domani ma sempre in sintonia con il momento presente.


Nel giudizio espresso in merito a qualsiasi concetto, pesa dunque in maniera inevitabile il contesto storico nel quale esso è formulato: lo spirito dell'epoca, i pilastri sui quali un popolo ha scelto di edificare la propria civiltà. Un concetto può essere giudicato positivamente o meno alla luce di quanto, in una determinata fase della propria storia, una civilità ritiene giusto o sbagliato: in questo modo, ciò che in passato appariva alla maggior parte degli individui indiscutibilmente positivo può risultare oggi agli stessi indiscutibilmente negativo, e viceversa.
Lo snaturamento dei concetti è una costante della storia umana, e ad esso è stato, ed è tutt'ora soggetto, anche quel concetto che i Romani esprimevano con il termine Vis: la Forza.

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