23.2.07

Il rovesciamento della Forza (3/4)

Nella cultura latina e in quella greca era dunque chiara, almeno fino a una certa fase della loro rispettiva storia - tutti i popoli prima o poi dimenticano, Romani e Greci non hanno costituito certo eccezione -, la profonda diversità tra il concetto dell'essere umano di genere maschile (homo/ànthropos) e l'idea invece, ben più complessa e impegnativa, di Uomo (vir/anèr). In ciascuna lingua, due parole diverse per due concetti diversi.
L'elemento discriminante era la Forza, strumento di introspezione che permetteva di temprarsi nel corpo e soprattutto nello spirito, elevandosi così da semplice maschio a uomo degno di rispetto e considerazione.

Questo era il concetto originario di Vis romana, in una idealizzazione che, come qualsiasi idealizzazione - quelle religiose su tutte - serviva, allora come oggi, ad offrire modelli comportamentali, dei quali l'essere umano ha necessità perché ad essi egli deve tendere nel tentativo costante di migliorarsi.
Del resto è proprio sull'idealizzazione della Vis che un piccolo villaggio di contadini ha edificato una civiltà, prima ancora che un impero. Una civiltà che per circa undici secoli si è eretta a faro per tutte le altre. E di certo non solo in conseguenza della forza militare.


L'uguaglianza sistematica tra forza ed aggressività, tra forza e indiscriminata violenza è invece frutto di una cultura successiva: una cultura che, influenzata dall'inarrestabile ascesa della religione cristiana in Occidente, ha finito per condannare fino a criminalizzare qualsiasi volontà di espressione del vigore: dapprima quello fisico e in questo modo, dal momento che corpo e mente sono inscindibili, anche quello dell'animo.
Questo in ossequio ad una cultura, i cui frutti sono oggi evidenti a chiunque, che vorrebbe in una temperanza imposta a forza, nella negazione a priori della natura umana il mezzo per una civile coesistenza tra gli uomini. Ma che tipo di uomini, si chiederebbero oggi i Romani: i vires, o gli homines?
Il fatto che nella nostra lingua, come in altre lingue neolatine, sia sopravvissuta un'unica parola per indicare l'uomo, è che questa derivi proprio dal latino homo, rivela da sola qual'è l'idea di uomo che è passata nella civiltà contemporanea. Un'idea di essere umano che l'Occidente si è scelto e modellato da solo, preoccupandosi di accampare e produrre nuove giustificazioni (politiche) o rivelazioni (religiose) per legittimarla, mentre tutto serviva in realtà a mantenere ciò che, da sempre, muove l'esistenza umana: il potere. Che si muove di pari passo con la sua più fedele alleata: la paura.

Nessun commento: